Dove potrebbe condurre la morale se confusa con l'integralismo?

In un futuro non molto distante da quello in cui gli iPod saranno venduti dai rigattieri come oggetti d’antiquariato si consumano e rincorrono le vite di tre ragazzi: Connor, un adolescente difficile, Risa, una giovane pianista talentuosa ma non abbastanza da far presagire per lei vette elevate, e Lev, l’ultimo di dieci figli di una famiglia ricca e perbene. Poco male per Connor, se vivesse ai nostri giorni, qualche rimbrotto, qualche punizione e poi l’adolescenza passerebbe, poco male per Risa, poco male per Lev, che al massimo dovrebbe contendersi l’affetto dei genitori con gli altri fratelli. Peccato, però, che essi si ritrovino a vivere dopo la seconda guerra civile, passata alla storia (così come è stata inventata da Neal Shusterman) come Guerra Morale, combattuta solo tra due fronti nettamente contrapposti: quello abortista e quello antiabortista. La Guerra Morale si concluse con il varo di una serie di emendamenti costituzionali noti come Legge sulla Vita, che stabilisce ciò che darà corpo al romanzo, ci farà rabbrividire, ci muoverà con sdegno e ci farà ribrezzo, e che, di fatto, ci incollerà al libro: la vita umana è intoccabile dal momento del concepimento fino a quando un bambino non compia tredici anni. Fra i tredici e i diciotto anni, però, i genitori possono decidere di abortire in maniera retroattiva, a condizione che, tecnicamente, la vita dell’adolescente non finisca.

Il processo tramite cui i ragazzi sono allo stesso tempo eliminati e tenuti vivi si chiama “divisione”. I loro corpi vengono smembrati e ogni parte riutilizzata (rivenduta) per impianti e trapianti.

Connor, Risa e Lev sono tre ragazzi, lo dicevamo, e ciascuno di loro, per un motivo o per un altro, sta per essere diviso. Dovranno scappare dalle loro famiglie, dall’orfanotrofio (nel caso di Risa), dovranno battersi contro l’ottusità della GiovPol (il corpo di polizia che si occupa proprio dei dividendi fuggiaschi), dovranno lottare per restare interi, per restare vivi.

Unwind di Neal Shusterman (autore dell’altrettanto premiato Everlost) è un romanzo per ragazzi fantascientifico e drammatico che consiglio per la validità dell’impianto narrativo e per l’originalità dell’idea, ma esorto i genitori che vorranno acquistarlo a considerare la presenza (reiterata) di scene molto crude, efficaci e necessarie all’interno della storia, ma difficili da digerire per animi impressionabili.

È davvero notevole l’equilibrio con il quale Shusterman riesce a gestire l’impressione fastidiosa (e specie a inizio lettura è molto forte) che si voglia, in maniera nemmeno troppo velata, giustificare gli antiabortisti a sfavore degli abortisti (la solfa è la stessa del nostro contemporaneo, il preservare la vita) in realtà di fatto essi giustificano (al punto di farne una legge) la pena di morte e non si fanno scrupolo nel vendere e ricavare profitto dai corpi martoriati dei ragazzi divisi, mentre d’altra parte le parti divise contribuiranno a salvare altre vite. L’impianto narrativo è molto forte, non cade in contraddizione e ammicca sapientemente ai grandi classici (penso a Orwell e alla distopia di 1984) e l’equilibrio tra i due fronti ideologici è parte di questa forza.

I protagonisti di questo romanzo sono dei ragazzi e per loro soffriamo e con loro aspiriamo alla libertà, ma molto ben delineati e sfaccettati sono anche i personaggi adulti (almeno un paio di loro, per esempio la donna che per prima li ospita e protegge dalla GiovPol, o l’Ammiraglio del Cimitero, luogo in cui i ragazzi trovano scampo dalla divisione, sono degni della definizione di “protagonisti” per il loro carisma, per la loro autenticità e per l’efficacia con cui l’autore ne riporta i tratti ambivalenti).

Una nota doverosa è per la traduzione che gestisce con molta competenza ed efficacia l’originale lessico (slang direi) di Unwind.

Titolo: Unwind. La divisione
Autore: Neal Shusterman
Editore: Piemme
Dati: 2010, 409 pp., 19,00 €

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