Tutto prende le mosse con la morte, scevra (e in questo sta il pregio di Everlost di Neal Shusterman) di tutti gli elementi esacerbati di dolore, strazio e paura che nella realtà ne fanno un dramma, ma che tra le pagine di un romanzo è bene rimanga un accidente (doloroso, certo) sfortunato, un caso che si risolve in un cambiamento di stato: da bambini e ragazzi a ultraluce, spiriti.
Due ragazzini muoiono a causa di un incidente stradale, ed entrambi si risvegliano, qualche tempo dopo, in una realtà/irrealtà parallela popolata da altre migliaia di ultraluce, quali essi stessi sono diventati, e materialmente fatta di tutto ciò che non fa più parte della realtà, tutto quello che per incidenti, per l’usura del tempo, per ragioni pratiche e stato abbattuto, è crollato, si è rotto: grattacieli (i due per eccellenza, i più grandi), moli, boschi, treni, dirigibili, oltre a una svariata serie di oggetti che una determinata classe di ultraluce, i trovatori, si incaricano di trovare e riportare all’Isola che Non C’è. Ho detto Isola che Non C’è? Mi sono confusa, intendevo dire a Everlost!
Il problema con i lapsus è che a volte sono suggeriti, ispirati, per cui è molto difficile sfuggir loro e ci si ritrova, nostro malgrado, a commetterli e, di conseguenza, a insospettirci. Everlost è un mondo parallelo a quello dei vivi (degli adulti) nel quale si arriva e dal quale non è più possibile tornare (almeno è ciò che sembra…); a Everlost c’è Mary Torralta che si occupa di proteggere in un’ovattata routine tutti i bimbi sperduti che riesce ad attirare alle due torri; c’è il McGill, novello Capitano Uncino, che con la sua nave, la sua mostruosità e la sua crudeltà semina il terrore in mare e in terra; e infine a Everlost ci sono Wendy e Peter Pan, rispettivamente Ellie e Nick.
Ellie e Nick arrivano assieme a Everlost e di conseguenza assieme scopriranno la realtà che li circonda. Amaramente si renderanno conto di non poter comunicare coi vivi, anche se sono in grado di vederli; di non poter indugiare in posti non toccati dalla morte perché corrono il rischio di affondare nella materia viva e rimanere prigionieri in eterno nel centro della terra; di non provare il freddo, la fame, la stanchezza (anche di certe sensazioni scomode alla lunga si sente la mancanza!). Mano a mano che familiarizzano con Everlost il ricordo della realtà da cui provengono si fa più sfocato e l’urgenza di riabbracciare i propri cari si affievolisce. Però crescono; i loro caratteri si rafforzano sebbene a Everlost non si invecchi mai, si resti per sempre bambini.
Alcuni elementi della narrazione, linguistici per esempio, volti a contestualizzare e creare una tradizione e una storia per Everlost, sono freschi e fantasiosi; simpatica anche la fatale e fatalistica presenza dei biscotti della fortuna che, aperti con attesa ed entusiasmo, arrivano integri a Everlost, e segnano il destino della storia.
Dispiace che i personaggi (alcuni dei quali originali e interessanti, specie per il loro essere sorprendentemente ambigui) non siano molto sviluppati e che ci si ritrovi con eroi ed eroine con cui non si è capaci di familiarizzare e di cui si riesce a ricordare solo qualche tratto fisico che, per rimanere fedeli all’impianto stesso del romanzo, non dovrebbe contare più nulla. Anche gli eventi si risolvono o si complicano precipitosamente. Ma questo è il nostro pensiero ipercritico e, soprattutto, adulto. Non ci sono che bambini e ragazzi sia ad Everlost, sia nell’Isola che Non C’è e ci sarà pur una ragione!
Titolo: Everlost
Autore: Shusterman Neal
Editore: Piemme (collana Freeway)
Dati: 2009, 330 pp., 17,50 €