21 ricette pratiche di morte violenta: suicidarsi è un’arte

“Vivo solo perché è in mio potere morire quando meglio mi sembrerà: senza l’idea del suicidio, mi sarei ucciso subito”, scrisse  il filosofo e scrittore Emil Cioran.  E in un’intervista raccontò: “Credo che l’idea del suicidio sia l’unica cosa che rende sopportabile la vita, ma bisogna saperla sfruttare, non affrettarsi a tirare le conseguenze”. Ora qui non si scrive di Cioran, anche se il tema è pertinente  e il filosofo è un ottimo apripista.

Ha la stessa impostazione concettuale, una stravagante consolazione filosofica, paradossale come i suoi ragionamenti: 21 ricette pratiche di morte violenta, guida per aspiranti suicidi con sottotitolo (tanto per capire di che pasta è fatta) “a uso delle persone scoraggiate o disgustate dalla vita per motivi che, tutto sommato, non ci riguardano”. Chissà se Cioran abbia mai letto questo formidabile e dissacrante libello, introdotto da un Piccolo manuale del perfetto suicida,  scritto e disegnato nel 1926 da Vercors, pseudonimo di Jean Bruller, poi rivisto e aggiornato a distanza di molti anni, nel 1977, dallo stesso autore. Chi più di un umorista può rendere sopportabile la vita consigliando la morte? Chi è più filosofo di un umorista noir? Uno che ti suggerisce tra l’altro, un suicidio per eccesso idraulico, laminazione, immersione prolungata parziale o totale, harakiri, o per eccesso di longevità spiegando con precisione come si realizzano; uno che si prende cura di portare il suo gioco mentale fino all’assurdo. Freud ha evidenziato che “il contrario del gioco non è ciò che è serio bensì ciò che è reale’” E Bruller ‘sabota’ il reale, la morte a favore del gioco, con serietà estrema.

In grande anticipo sull’era nostra dei prontuari, a tal punto pronti che in poche mosse ti risolvono persino questioni di vita e di morte (alla lettera), della manualistica e dei ricettari concernenti qualsiasi cosa, Vercors si comporta in questo album umoristico sui generis da ‘chef’ atipico, capace di elargire con piglio scientifico e professorale, ricette suicidarie per tutti i gusti, le esigenze, i caratteri e i fisici. Così, il tipo filosofo, ma filosofo pesante, l’uomo del disinganno, proprio come Cioran, che cerca un’indicazione non sul delitto perfetto, ma sul suicidio perfetto per poi tornare alla vita libero e affrancato, trova quel che cerca. Trovano la soluzione adatta a loro anche il tipo stanco della vita tutto a un tratto, fulmine a ciel sereno, per una delusione d’amore, proprio come accadde allo stesso Bruller; il suicida attivo e quello passivo, l’introverso e l’audace.  Ogni ricetta è corredata da illustrazione dell’autore, a scanso di equivoci e per favorire l’esecuzione manuale. Più che una questione di coraggio, infatti, il suicidio nella canzonatura lieve di Vercors, richiede di superare un grave pregiudizio, sembra essere un fatto di movente e concernere un problema esecutivo a cui porre rimedio. Il risultato è un capolavoro di leggerezza e paradosso niente affatto segnato dal passare del tempo. Finora sconosciuto in Italia, a pubblicarlo ci ha pensato la casa editrice Portaparole (la cura e la traduzione sono di Flavia Conti che per la casa editrice ha già tradotto dello stesso autore, Le commandant du Prométhée). Portaparole si distingue nel panorama italiano perché è specializzata nella pubblicazione di testi proustiani e di cultori di Proust, oltre a essere bilingue (pubblica in italiano e in francese), e capace di scovare  classici irriverenti.

All’epoca della prima stesura, Vercors era un disegnatore e illustratore; solo dopo la partecipazione alla Resistenza francese durante la seconda guerra mondiale diventerà uno scrittore di fama mondiale per aver scritto Il silenzio del mare e fondato in clandestinità Le Editions de Minuit. La guida all’aspirante suicida nasce da un gioco con Yvonne Paraf, responsabile del rifiuto d’amore,  (diventerà la futura factotum delle Editions de Minuit). Vercors le consegna un disegno di suicida per essere stato respinto; lei,  per nulla affranta, risponde con un altro disegno: nasce l’idea di comporre un album, vignette e testo. Che è un’immersione in una realtà governata dall’umorismo nero, prendere o lasciare; un salvavita per maitre a penser che vi trovano soluzioni di liberazione possibile (anche se non le applicano), modo di riconciliarsi con l’esistenza e persino di apprezzarla di più. Tra la prima e la seconda edizione con aggiunta di un’avvertenza al lettore, il riso beffardo di Bruller (l’opera gli ha portato fortuna; è vissuto fino a 90 anni) fa il verso all’autore giovane. La portata ludica e iperbolica del testo raggiunge i risultati più divertenti nel capitolo Suicidio per contagio volontario in cui l’operato di medici e chirurghi è annoverato come strumento di fine, in alternativa al contatto con un malato contagioso. O il suicidio per ingestione da parte animale, un tempo molto pratico: “bastava abbracciare la fede cristiana”, mentre oggi basta una visita al presidente dell’Uganda, scrive Vercors, “una parola ben detta e il processo è avviato in modo generalmente irreversibile”, tramite uso di coccodrillo. L’autore dice di esser rimasto vivo per troppo attaccamento alla vita, eccesso di precauzioni nei preparativi del suo trapasso. Suggerisce dunque, per un suicidio ben riuscito, prudenza, modestia, soprattutto combinare diverse ricette per un risultato sicuro. L’importante è approfittare “di un così meraviglioso vantaggio” dato all’uomo: “poter morire, se vuole, quando, dove e come preferisce”, organizzare al meglio la “grande esperienza”. Studiare bene il manuale così da organizzare una fine elegante. Riuscitissima.

 

Titolo: Ventuno ricette pratiche di morte violenta
Autore: Vercors
Editore:Portaparole
Dati: 2011, 132 pp., 18,50 €

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